Per i soggetti essenziali e importanti la stagione dei modelli 231 ‘di facciata’ è finita.
Con la NIS 2, ciò che un tempo poteva sembrare una formalità si trasforma in un pericolo concreto: le organizzazioni che si sono limitate a sistemi di carta rischiano di trovarsi scoperte, vulnerabili e potenzialmente travolte da sanzioni e responsabilità 231.
Solo chi ha scelto la via della compliance sostanziale può affrontare con maggiore solidità questo nuovo scenario.
In questo capitolo conclusivo dell’esalogia, provo a distinguere un modello che protegga davvero, proponendo indicatori, casi concreti e metodologie operative per trasformare il modello organizzativo in un presidio vivo e funzionante.
Dopo aver attraversato insieme il percorso teorico e strategico di questa esalogia – dai fondamenti della “colpa di organizzazione” fino alla trasformazione del ruolo degli OdV nell’era digitale – siamo giunti al momento della verità: quello in cui la teoria incontra la realtà operativa quotidiana e rivela la sua vera natura.
Un dipendente di un soggetto NIS acceda abusivamente ai sistemi informatici sfruttando credenziali mai revocate: sulla carta il modello prevedeva procedure di controllo degli accessi, ma nella pratica nessuno le aveva mai applicate.
Può accadere anche che un attacco provochi un danneggiamento informatico con perdita di dati critici e si scopra che i sistemi di monitoraggio e protezione, pur minuziosamente descritti nel modello, erano in realtà inesistenti.
E, ancora, può accadere che venga commessa una frode informatica mediante l’alterazione di dati contabili e, di fronte alle richieste dell’autorità giudiziaria, l’unica evidenza prodotta dall’ente sia un elegante Pdf: un modello 231 ben scritto, però mai tradotto in misure di sicurezza concrete.
Sono questi i momenti in cui la distanza tra un modello autentico e uno di facciata si rivela in tutta la sua gravità. E nell’economia digitale di oggi non sono più eccezioni statistiche, ma probabilità concrete con cui ogni organizzazione deve fare i conti.
Il primo e più insidioso nemico dell’efficacia organizzativa è il paradosso della compliance apparente: modelli che sembrano perfetti sulla carta ma si rivelano completamente inadeguati quando sono sottoposti alla prova dei fatti.
Questi sistemi non sono semplicemente inefficaci e inidonei – sono dannosi, perché creano una falsa sensazione di sicurezza che inibisce gli investimenti reali in prevenzione.
Classici segnali della compliance apparente che possono svelare un modello inidoneo sono:
L’esperienza operativa permette di identificare cinque archetipi ricorrenti di modelli organizzativi destinati al fallimento:
Le aziende che rivestono il ruolo di soggetto essenziale o importante devono quindi stare lontane da modelli di sicurezza informatica che sembrano perfetti sulla carta ma crollano al primo test reale.
La differenza tra un sistema efficace e uno inutile non sta nella complessità delle procedure, ma in tre principi fondamentali che troppo spesso vengono ignorati.
Il primo grande errore è progettare la sicurezza partendo dalle normative invece che dai pericoli concreti.
Un ospedale che tratta dati sanitari sensibili affronta minacce completamente diverse da una banca o da un’industria manifatturiera.
Eppure molte aziende adottano modelli standardizzati che potrebbero andare bene per chiunque e proprio per questo non vanno bene per nessuno.
La domanda giusta non è “cosa dice la norma?”, ma “cosa potrebbe davvero danneggiarci e quanto ci costerebbe?”.
Solo quantificando l’impatto reale di ogni possibile attacco si possono prendere decisioni sensate su dove investire le risorse limitate della sicurezza.
Il secondo pilastro dell’efficacia è la concretezza assoluta. Troppi modelli di sicurezza sono pieni di prescrizioni vaghe come “implementare adeguate misure di protezione” o “formare periodicamente il personale”. Queste frasi suonano professionali ma sono completamente inutili perché nessuno sa esattamente cosa fare.
Un modello che funziona specifica tutto: chi deve attivare l’autenticazione a due fattori, entro quanti giorni, usando quale strumento, e come verificare che sia stato fatto davvero.
La differenza tra successo e fallimento spesso sta in questa precisione millimetrica che trasforma buone intenzioni in risultati concreti.
Il terzo elemento fondamentale è la capacità di cambiare. La cyber security statica è cyber security morta perché le minacce evolvono continuamente.
Un sistema efficace deve aggiornarsi automaticamente quando:
Il MOGC non può essere un documento che si riscopre una volta all’anno durante l’audit, ma deve essere un organismo vivente che si adatta alla realtà operativa.
Esistono indicatori precisi che permettono di riconoscere un sistema destinato al collasso prima che accada il disastro.
Quando i dirigenti considerano la sicurezza informatica “roba da tecnici” e non
partecipano attivamente alle decisioni, il fallimento è garantito.
Se tra l’identificazione di una vulnerabilità e l’intervento passano giorni o settimane, significa che i processi esistono solo sulla carta.
La lezione più importante è controintuitiva: l’efficacia non aumenta con la complessità. Un modello che nessuno riesce ad applicare nella realtà quotidiana è peggio di nessun modello.
La cyber security che funziona davvero è quella che diventa parte naturale del modo di lavorare, non un’imposizione burocratica che tutti cercano di aggirare.
Il test finale non è tecnico ma umano: se devi spiegare il tuo sistema di sicurezza a un giudice dopo la commissione di un reato presupposto informatico, deve essere evidente che hai fatto tutto il ragionevolmente possibile per prevenirlo.
Non servono montagne di carta ma evidenze concrete di un impegno reale, misurato, continuo nella protezione dell’azienda.
La cyber security efficace non è la più sofisticata tecnicamente. È quella che funziona quando il pericolo diventa reale.
L’efficacia autentica richiede un cambiamento culturale profondo che va ben oltre l’adozione di procedure e tecnologie. Richiede leadership consapevole, competenze ibride e visione strategica che trasformino la compliance da costo burocratico in vantaggio competitivo duraturo.
Il messaggio finale di questa esalogia è quindi un appello all’azione consapevole e determinata.
Gli strumenti concettuali e operativi per governare questa trasformazione esistono, le metodologie sono consolidate, le best practice emergenti sono documentate.
Forse, quello che manca è la volontà di fare il salto qualitativo necessario.
Le organizzazioni di successo del futuro saranno quelle che avranno compreso che la cyber security non è un problema da risolvere, ma una competenza da sviluppare, non un costo da contenere ma un investimento da valorizzare, non un vincolo da subire ma un’opportunità da cogliere.