NIS 2 e sistemi 231: un connubio che smaschera la compliance di facciata
文章指出,在NIS 2法规下,231模型需从形式走向实质化。组织若仅依赖纸面系统将面临风险和责任。文中分析了五种失败的网络安全模型,并提出以真实风险为导向、具体行动和持续进化为原则的有效方案。强调领导力和文化变革的重要性,将网络安全视为核心竞争力而非负担。 2025-10-3 07:46:7 Author: www.cybersecurity360.it(查看原文) 阅读量:13 收藏

Per i soggetti essenziali e importanti la stagione dei modelli 231 ‘di facciata’ è finita.

Con la NIS 2, ciò che un tempo poteva sembrare una formalità si trasforma in un pericolo concreto: le organizzazioni che si sono limitate a sistemi di carta rischiano di trovarsi scoperte, vulnerabili e potenzialmente travolte da sanzioni e responsabilità 231.

Solo chi ha scelto la via della compliance sostanziale può affrontare con maggiore solidità questo nuovo scenario.

In questo capitolo conclusivo dell’esalogia, provo a distinguere un modello che protegga davvero, proponendo indicatori, casi concreti e metodologie operative per trasformare il modello organizzativo in un presidio vivo e funzionante.

Il momento della verità in cui si fotografa la distanza tra un modello autentico e uno di facciata

Dopo aver attraversato insieme il percorso teorico e strategico di questa esalogia – dai fondamenti della “colpa di organizzazione” fino alla trasformazione del ruolo degli OdV nell’era digitale – siamo giunti al momento della verità: quello in cui la teoria incontra la realtà operativa quotidiana e rivela la sua vera natura.

Un esempio

Un dipendente di un soggetto NIS acceda abusivamente ai sistemi informatici sfruttando credenziali mai revocate: sulla carta il modello prevedeva procedure di controllo degli accessi, ma nella pratica nessuno le aveva mai applicate.

Può accadere anche che un attacco provochi un danneggiamento informatico con perdita di dati critici e si scopra che i sistemi di monitoraggio e protezione, pur minuziosamente descritti nel modello, erano in realtà inesistenti.

E, ancora, può accadere che venga commessa una frode informatica mediante l’alterazione di dati contabili e, di fronte alle richieste dell’autorità giudiziaria, l’unica evidenza prodotta dall’ente sia un elegante Pdf: un modello 231 ben scritto, però mai tradotto in misure di sicurezza concrete.

Sono questi i momenti in cui la distanza tra un modello autentico e uno di facciata si rivela in tutta la sua gravità. E nell’economia digitale di oggi non sono più eccezioni statistiche, ma probabilità concrete con cui ogni organizzazione deve fare i conti.

I segnali che svelano un modello inidoneo. Il paradosso della compliance apparente

Il primo e più insidioso nemico dell’efficacia organizzativa è il paradosso della compliance apparente: modelli che sembrano perfetti sulla carta ma si rivelano completamente inadeguati quando sono sottoposti alla prova dei fatti.

Questi sistemi non sono semplicemente inefficaci e inidonei – sono dannosi, perché creano una falsa sensazione di sicurezza che inibisce gli investimenti reali in prevenzione.

Classici segnali della compliance apparente che possono svelare un modello inidoneo sono:

  • il sintomo della documentazione ipertrofica: quando un modello 231 dedicato alla cyber security occupa centinaia di pagine fitte di riferimenti normativi, procedure astratte e flowchart incomprensibili, spesso nasconde l’assenza di sostanza operativa dietro una facciata di complessità apparente. La regola aurea è semplice: se chi deve applicare il modello non riesce a capirlo, il modello non funziona.
  • l’indicatore della formazione fantasma: basta organizzare un audit a sorpresa e chiedere a dieci dipendenti selezionati casualmente di spiegare cosa devono fare se ricevono un’email sospetta. Se più della metà non sa rispondere con precisione, significa che la “formazione sistematica prevista dal modello” esiste solo nei verbali delle riunioni e nei certificati di partecipazione;
  • il test della tracciabilità inesistente: si prova a ricostruire cosa è successo nell’ultima settimana n ambito cybersecurity. Se non esistono log, registrazioni, alert documentati, evidenze di controlli effettuati, significa che il sistema di monitoraggio previsto dal modello è puramente teorico.

I cinque archetipi del modello fallimentare

L’esperienza operativa permette di identificare cinque archetipi ricorrenti di modelli organizzativi destinati al fallimento:

  • Modello “copia-incolla”: adottato senza alcuna personalizzazione da template di un consulente o dalla documentazione di un’altra azienda. Contiene riferimenti a processi inesistenti, ruoli non presenti nell’organizzazione, tecnologie non utilizzate. È riconoscibile perché parla di realtà che non appartengono all’azienda che lo ha formalmente adottato.
  • Archeologia normativa“: ipertrofico di riferimenti a norme, standard, best practice, ma privo di istruzioni operative concrete. È il prodotto di un approccio legalistico che confonde l’elencazione delle fonti normative con la progettazione di un sistema operativo efficace.
  • Modello “delega totale”: scarica ogni responsabilità sulla funzione IT, considerando la cyber security un problema esclusivamente tecnico. Non prevede coinvolgimento del business, formazione diffusa, processi cross-funzionali. Crolla alla prima verifica perché la sicurezza informatica è un problema organizzativo, non solo tecnologico.
  • Wishful Thinking” (autoinganno ottimistico): basato su assunzioni ottimistiche che non tengono conto della realtà operativa dell’organizzazione. Prevede comportamenti perfetti, risorse illimitate, competenze che non esistono. È destinato a rimanere sulla carta perché progettato per un’azienda ideale che non esiste.
  • Il modello “istantanea temporale“: fotografa la situazione di un momento specifico, ma non prevede meccanismi di aggiornamento e adattamento. In ambito cyber, dove il panorama delle minacce cambia continuamente, diventa rapidamente obsoleto e controproducente.

Cyber security che funziona

Le aziende che rivestono il ruolo di soggetto essenziale o importante devono quindi stare lontane da modelli di sicurezza informatica che sembrano perfetti sulla carta ma crollano al primo test reale.

La differenza tra un sistema efficace e uno inutile non sta nella complessità delle procedure, ma in tre principi fondamentali che troppo spesso vengono ignorati.

Partire dai rischi veri, non dalle norme

Il primo grande errore è progettare la sicurezza partendo dalle normative invece che dai pericoli concreti.

Un ospedale che tratta dati sanitari sensibili affronta minacce completamente diverse da una banca o da un’industria manifatturiera.

Eppure molte aziende adottano modelli standardizzati che potrebbero andare bene per chiunque e proprio per questo non vanno bene per nessuno.

La domanda giusta non è “cosa dice la norma?”, ma “cosa potrebbe davvero danneggiarci e quanto ci costerebbe?”.

Solo quantificando l’impatto reale di ogni possibile attacco si possono prendere decisioni sensate su dove investire le risorse limitate della sicurezza.

Trasformare le parole in azioni

Il secondo pilastro dell’efficacia è la concretezza assoluta. Troppi modelli di sicurezza sono pieni di prescrizioni vaghe come “implementare adeguate misure di protezione” o “formare periodicamente il personale”. Queste frasi suonano professionali ma sono completamente inutili perché nessuno sa esattamente cosa fare.

Un modello che funziona specifica tutto: chi deve attivare l’autenticazione a due fattori, entro quanti giorni, usando quale strumento, e come verificare che sia stato fatto davvero.

La differenza tra successo e fallimento spesso sta in questa precisione millimetrica che trasforma buone intenzioni in risultati concreti.

L’evoluzione come necessità

Il terzo elemento fondamentale è la capacità di cambiare. La cyber security statica è cyber security morta perché le minacce evolvono continuamente.

Un sistema efficace deve aggiornarsi automaticamente quando:

  • emergono nuovi pericoli;
  • si verificano incidenti;
  • cambiano le tecnologie aziendali.

Il MOGC non può essere un documento che si riscopre una volta all’anno durante l’audit, ma deve essere un organismo vivente che si adatta alla realtà operativa.

I segnali del fallimento imminente

Esistono indicatori precisi che permettono di riconoscere un sistema destinato al collasso prima che accada il disastro.

Quando i dirigenti considerano la sicurezza informatica “roba da tecnici” e non
partecipano attivamente alle decisioni, il fallimento è garantito.

Se tra l’identificazione di una vulnerabilità e l’intervento passano giorni o settimane, significa che i processi esistono solo sulla carta.

Il segreto della semplicità

La lezione più importante è controintuitiva: l’efficacia non aumenta con la complessità. Un modello che nessuno riesce ad applicare nella realtà quotidiana è peggio di nessun modello.

La cyber security che funziona davvero è quella che diventa parte naturale del modo di lavorare, non un’imposizione burocratica che tutti cercano di aggirare.

Il test finale non è tecnico ma umano: se devi spiegare il tuo sistema di sicurezza a un giudice dopo la commissione di un reato presupposto informatico, deve essere evidente che hai fatto tutto il ragionevolmente possibile per prevenirlo.

Non servono montagne di carta ma evidenze concrete di un impegno reale, misurato, continuo nella protezione dell’azienda.

La cyber security efficace non è la più sofisticata tecnicamente. È quella che funziona quando il pericolo diventa reale.

La volontà di fare il salto qualitativo necessario

L’efficacia autentica richiede un cambiamento culturale profondo che va ben oltre l’adozione di procedure e tecnologie. Richiede leadership consapevole, competenze ibride e visione strategica che trasformino la compliance da costo burocratico in vantaggio competitivo duraturo.

Il messaggio finale di questa esalogia è quindi un appello all’azione consapevole e determinata.

Gli strumenti concettuali e operativi per governare questa trasformazione esistono, le metodologie sono consolidate, le best practice emergenti sono documentate.

Forse, quello che manca è la volontà di fare il salto qualitativo necessario.

Le organizzazioni di successo del futuro saranno quelle che avranno compreso che la cyber security non è un problema da risolvere, ma una competenza da sviluppare, non un costo da contenere ma un investimento da valorizzare, non un vincolo da subire ma un’opportunità da cogliere.


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