È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
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Se siete fra i due miliardi e mezzo di utenti di Instagram, probabilmente avete notato che da qualche settimana alcune fotografie postate su questo social network sono accompagnate da una piccola dicitura: nella versione italiana, questa dicitura è “Creato con IA”, dove “IA” ovviamente sta per l’immancabile, onnipresente intelligenza artificiale.
Gli hater dell’intelligenza artificiale – sì, esistono e sono numerosi e anche inviperiti – vedono questa etichetta sulle fotografie di luoghi e persone pubblicate su Instagram e lasciano commenti livorosi in cui accusano chi le ha postate di essere un bugiardo, perché secondo loro l’etichetta dimostra che si tratta di falsi creati appunto con l’intelligenza artificiale. E gli autori delle foto in questione si sgolano, invano, cercando di dimostrare che le loro foto sono autentiche, scattate davvero sul luogo e con soggetti e persone reali. Niente da fare: l’etichetta “Creato con IA” li condanna. Fotografi professionisti celebri si vedono screditati di colpo da queste tre brevi parole.
Questa è la storia strana di una iniziativa di Meta, proprietaria di Instagram, partita con l’intento di fare chiarezza nel caos delle immagini sintetiche spacciate per vere che stanno intasando questo social network. Quell’intento si è trasformato in un autogol, che sta facendo infuriare i fotografi che avrebbe dovuto proteggere. E fra quei fotografi, e fra quegli accusati, potreste trovarvi anche voi.
Se volete saperne di più e conoscere come difendervi da questi nuovi hater, siete nel posto giusto: benvenuti! Questa è la puntata del 14 giugno 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Prima di tutto devo fare un aggiornamento a una delle notizie che ho segnalato nel podcast precedente, ossia l’introduzione in Windows 11 di un nuovo servizio, chiamato Recall, che in sostanza registra localmente tutto quello che passa sullo schermo, con ovvi problemi di privacy. Poco dopo la chiusura della puntata, Microsoft ha reagito al clamore mediatico prodotto dall’annuncio di Recall e ha risposto in parte alle preoccupazioni degli esperti, modificando il funzionamento del servizio.
Mentre prima Recall era attivo per impostazione predefinita e toccava all’utente scoprire come disattivarlo, d’ora in poi sarà attivato solo se l’utente accetterà la proposta di attivazione, che comparirà durante la configurazione iniziale del computer (The Verge). Restano ancora valide tutte le considerazioni di privacy e di sicurezza che sono state segnalate dagli esperti per chi decide di attivare Recall, ma perlomeno adesso è più facile e naturale per l’utente rifiutare questo servizio.
Colgo l’occasione per precisare anche un altro dettaglio importante: per il momento, Recall viene installato ed è disponibile soltanto sui computer di tipo Copilot+ dotati di processore ARM e processore neurale o NPU, che sono una decina di modelli di varie marche. Chi ha un computer meno recente di questi non si vedrà proporre l’attivazione di Recall. Almeno per ora, perché Microsoft ha dichiarato di voler fornire supporto anche per i computer con processori AMD e Intel, che sono i più diffusi. Staremo a vedere.
Da qualche settimana Instagram ha iniziato ad aggiungere automaticamente ai post una dicitura che avvisa gli utenti che un’immagine postata è stata creata usando prodotti basati sull’intelligenza artificiale. In italiano questa dicitura è “Creato con IA”.
L’intenzione di Meta era buona: etichettare chiaramente le immagini sintetiche generate con l’intelligenza artificiale, che ormai hanno raggiunto un livello di realismo tale da rendere molto difficile, se non impossibile, distinguere un’immagine sintetica da una fotografia reale.
La pubblicazione di immagini sintetiche fotorealistiche, senza avvisare esplicitamente che si tratta di qualcosa che è stato generato completamente da zero e non esiste nella realtà fisica, è infatti chiaramente ingannevole, specialmente quando l’immagine generata rappresenta una situazione plausibile nel mondo reale. Il rischio che i professionisti delle fake news usino i generatori di immagini basati sull’intelligenza artificiale per produrre immagini false di persone conosciute, allo scopo per esempio di ridicolizzarle o screditarle, è fin troppo evidente e ne esistono già molti casi documentati.
C’è anche il problema che i generatori di immagini finiscono per svilire il lavoro e la fatica dei fotografi professionisti, perché invece di comporre pazientemente la scena, mettere in posa il soggetto, regolare le luci e tutte le altre cose che un fotografo è costretto a fare fisicamente per ottenere una certa immagine, oggi si può ottenere un risultato più che paragonabile usando l’intelligenza artificiale, standosene comodamente al computer. Instagram è invaso, infatti, dalle foto di “modelle” che sono in realtà immagini generate dal computer, e le fotomodelle reali si vedono scavalcate da immagini sintetiche che possono essere fabbricate in una manciata di secondi, non si stancano, non invecchiano, non cambiano forme o peso e non hanno spese di trasferta o compensi da pretendere. E gran parte degli utenti (e anche dei committenti) non è in grado di accorgersi della differenza.
Etichettare le immagini sintetiche sembrebbe quindi un’ottima idea per difendere il professionismo dei fotografi e il lavoro di modelli e modelle in carne e ossa, e anche per contrastare le fake news; eppure i fotografi sono sul piede di guerra e pubblicano proteste indignate contro questa etichettatura.
La ragione delle loro proteste è molto semplice: la “soluzione” escogitata da Meta sta etichettando come sintetiche, ossia false agli occhi del pubblico, anche le loro foto, quelle scattate con una fotocamera, inquadrando un soggetto fisico reale. L’etichetta “Creato con IA” sta insomma screditando il lavoro di moltissimi professionisti, ed è importante che chi usa Instagram sia ben consapevole che al momento attuale questa etichetta non vuol dire necessariamente che l’immagine sia stata generata da zero con l’intelligenza artificiale, e che viceversa la mancanza di questa etichetta non è una garanzia di autenticità.
Questa etichetta, infatti, viene applicata da Meta ai post su Instagram in due casi. Il primo è quello in cui chi posta un’immagine decide volontariamente di etichettarla come sintetica, usando la funzione apposita presente nell’app di Instagram [per esempio per evitare di incappare in sanzioni da parte di Meta]. Il secondo caso, quello più importante, è quello in cui Meta rileva in un’immagine sintetica la presenza di appositi indicatori, che vengono incorporati nell’immagine sotto forma di metadati dai programmi di generazione o di fotoritocco. Questi indicatori informano Meta che è stato fatto uso di intelligenza artificiale per elaborare l’immagine in questione.
Ma attenzione: l’etichetta “Creato con IA” viene applicata automaticamente da Meta non solo quando l’immagine è totalmente generata, ma anche quando una fotografia reale viene manipolata in qualunque modo, anche molto lievemente, usando software come Photoshop, che adoperano per alcuni strumenti l’intelligenza artificiale per produrre fotoritocchi sempre più rapidi e sofisticati.
Ovviamente c’è una differenza enorme fra un’immagine fotorealistica completamente generata al computer e una fotografia tradizionale alla quale è stato fatto un piccolo ritocco digitale per rimuovere, che so, un dettaglio antiestetico, eppure Meta mette tutto nel mucchio, perché in realtà non sta facendo alcun lavoro di analisi sofisticata delle immagini, per esempio per cercare di “capire” dal contenuto e dal contesto se sono sintetiche oppure no: sta semplicemente controllando se sono presenti o meno questi metadati. Se ci sono, mostra l’etichetta “Creato con IA”, e lo fa anche se il fotografo ha usato una vera fotocamera e ha inquadrato per esempio una modella reale, andando in un luogo reale, ma ha usato, anche in misura minima, uno degli strumenti di rifinitura di Photoshop basati sull’intelligenza artificiale, per esempio per rimuovere una minuscola sbavatura nel trucco o un granello di polvere che era finito sul sensore della fotocamera.
E viceversa, se questi metadati non ci sono, o vengono semplicemente rimossi con un trucco semplice come fare uno screenshot dell’immagine generata e pubblicare quello screenshot, anche l’immagine più vistosamente sintetica non verrà etichettata come “creata con IA”.
Purtroppo moltissimi utenti non sono al corrente di come funziona questo sistema di etichettatura e quindi stanno accusando di falsificazione fotografi che in realtà non hanno alcuna colpa. Questa etichetta così grossolana, insomma, sta causando danni reputazionali molto significativi. Ma questo a Meta non sembra interessare. Non per nulla fino al 2014 il motto ufficiale di Facebook, oggi Meta, era “move fast and break things”, ossia “muoviti in fretta e rompi le cose”: l’importante è fare soldi in fretta, e se nel farli si rovina la reputazione di qualcuno, il problema è di quel qualcuno, non di Meta.
Fate attenzione, insomma, a non farvi coinvolgere in discussioni e polemiche interminabili sulla “autenticità” di una foto su Instagram basandovi su questa etichetta: il rischio di trovarsi dalla parte del torto è molto alto. Anche perché forse state creando anche voi immagini sintetiche, di quelle che Meta etichetterebbe come “create con IA”, e nemmeno ve ne accorgete.
Se fate foto con il vostro smartphone, infatti, è molto probabile che alcuni dei filtri automatici presenti in questi dispositivi si basino sull’intelligenza artificiale. Per esempio, una foto di gruppo in cui tutti hanno miracolosamente gli occhi aperti o sorridono viene ottenuta spesso facendo una rapidissima raffica di foto e poi usando il riconoscimento delle immagini e dei volti per prendere dai vari scatti le facce venute bene e sovrapporle a quelle che hanno gli occhi chiusi o le espressioni serie. E tutto questo avviene direttamente a bordo dello smartphone, senza che ve ne accorgiate. Questa tecnica viene chiamata fotografia computazionale, e moltissime persone la usano senza nemmeno saperlo, perché è una funzione automatica standard degli smartphone di fascia alta.
Una foto ottenuta in questo modo è “falsa”, dato che non rappresenta un momento realmente esistito, e quindi dovrebbe essere etichettata da Meta? Oppure rappresenta la nostra intenzione o la nostra percezione della realtà come vorremmo che fosse, e quindi va accettata come “reale”?
Chiaramente la questione dell’autenticità e del realismo di un’immagine è molto più complessa e ricca di sfumature rispetto al banale “sì” oppure “no” di un’etichetta semplicistica come quella proposta da Meta. E questa necessità di sfumature, forse, è la lezione di realtà più importante di tutte.