Nell’ultimo provvedimento pubblicato sul proprio sito istituzionale, il Garante della Privacy ha ritenuto infondato un reclamo presentato da un interessato che, dopo aver ottenuto un provvedimento di archiviazione di un procedimento penale in cui era stato coinvolto, aveva chiesto la deindicizzazione delle informazioni, riguardanti la sua vicenda, al gestore di un motore di ricerca.
Questi aveva, però, comunicato di non poter aderire alla richiesta, ritenendo ancora sussistente un interesse pubblico alle notizie che erano state recentissimamente pubblicate ed aggiornate, dando conto dell’intervenuta archiviazione in favore dell’interessato, il quale, peraltro rivestiva un ruolo pubblico.
Diritto all’oblio e libertà d’informazione: il caso pratico
Un interessato aveva richiesto, al gestore di un motore di ricerca, la rimozione di alcuni URL, reperibili su internet in associazione al suo nominativo e collegati ad alcuni articoli. All’interno di tali articoli, venivano riportate informazioni relative ad una vicenda giudiziaria, nella quale lo stesso interessato era stato coinvolto e che si era conclusa con la pronuncia di un decreto di archiviazione nei suoi confronti.
Le strategie che fanno bene al business e alla cyber security
In particolare, in esito all’archiviazione del procedimento a suo carico da parte del G.I.P., l’interessato aveva investito il gestore del motore di ricerca di numerose richieste di deindicizzazione. A seguito di tali richieste, lo stesso gestore del motore di ricerca aveva tuttavia:
- rimosso solo una parte degli URL oggetto della richiesta di cancellazione;
- comunicato, contestualmente, di non poter invece aderire alla richiesta con riferimento ad alcuni URL, per i quali era da ritenere ancora sussistente un interesse pubblico alle notizie.
Ciò perché, si trattava di contenuti:
- di recentissima pubblicazione;
- aggiornati, dando atto dell’intervenuta archiviazione in favore dell’interessato e fornendo quindi informazioni attuali relativamente alla vicenda;
- inerenti alla vita professionale dell’interessato che rivestiva un indubbio ruolo pubblico in ragione dell’attività svolta;
- aventi natura giornalistica.
Il reclamo al Garante privacy
l’interessato, con specifico reclamo indirizzato all’Autorità Garante, ha quindi lamentato il pregiudizio subito con riguardo alla propria reputazione personale e professionale derivante dalla reperibilità in rete dei contenuti sopra indicati.
Ciò, anche alla luce del nuovo articolo 64-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, introdotto dal D.lgs. 150/2022 (la c.d. riforma Cartabia).
Tale norma prevede che una persona indagata o imputata, nei cui confronti sia emessa una decisione favorevole (i.e. una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione), possa richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella stessa sentenza o nel provvedimento.
La stessa norma attribuisce anche alla cancelleria del giudice il compito di apporre, su richiesta dell’interessato, un’annotazione in calce al provvedimento favorevole, al fine di renderlo titolo idoneo per ottenere la predetta deindicizzazione.
Il tutto, però, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del GDPR.
Clausola di salvaguardia delle deroghe ed eccezioni al diritto all’oblio
Come evidenziato dal Garante nel provvedimento richiamato, l’art. 64-ter disp.att. c.p.p. non prevede però un automatismo.
Infatti, la decisione favorevole che definisce il procedimento penale costituisce, certamente, titolo idoneo per ottenere un provvedimento di sottrazione dall’indicizzazione delle informazioni personali riferite allo stesso procedimento penale che si è favorevolmente concluso.
Tuttavia, secondo la formulazione letterale dello stesso art. 64-ter, questo titolo idoneo può essere fatto valere “ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del GDPR”. In questo modo, nel rispetto del “primato assoluto” del diritto unionale su quello nazionale, è stata posta una clausola di salvaguardia delle deroghe e delle eccezioni al diritto all’oblio, previste dal paragrafo 3 dell’art.17 del GDPR.
Orbene, tra dette eccezioni, la lettera a) del paragrafo 3 dell’art. 17 del GDPR indica, specificamente, quella legata alla necessità di garantire l’esercizio del diritto fondamentale alla libertà di espressione e di informazione.
Non è revocabile in dubbio, quindi che il diritto di cancellazione, anche nella “species” di diritto all’oblio, deve essere bilanciato con il diritto alla libertà di espressione e di informazione.
Ciò, anche nelle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione del più volte citato art. 64-ter il quale, facendo salvi i limiti dell’art. 17 del Regolamento, pone proprio una presunzione relativa e non assoluta in merito all’accoglibilità dell’istanza di deindicizzazione dell’interessato.
Diritto all’oblio e libertà d’informazione: parametri per il bilanciamento
Nel suo provvedimento, l’Autorità Garante, per la risoluzione del caso concreto, pone in evidenza i parametri da utilizzare nel bilanciamento tra il diritto della collettività ad essere informata ed il diritto dell’interessato alla protezione dei propri dati personali.
Per eseguire tale bilanciamento devono, quindi, essere considerati:
- il fattore temporale, che costituisce, per costante giurisprudenza, elemento costitutivo del diritto all’oblio;
- la rilevanza pubblica delle informazioni e la loro attualità, da valutare in rapporto anche alla loro esattezza;
- il ruolo ricoperto dall’interessato nella vita pubblica.
Quindi va riconosciuta la prevalenza del diritto alla libertà di espressione e di informazione, in caso di notizie esatte ed attuali, la cui conoscenza appare funzionale a dare conto alla collettività degli esiti favorevoli di una vicenda che ha riguardato una persona che rivesta un ruolo pubblico.
Una tale circostanza, proprio in relazione al ruolo ricoperto dall’interessato, non appare idonea a pregiudicarlo.
Le indicazioni della Corte di Giustizia
Per definire il reclamo, l’Autorità Garante tiene e dà conto anche delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella nota sentenza del 24 settembre 2019 nella causa C-136/17.
In questo provvedimento, che riguarda il trattamento delle categorie particolari di dati, tra i quali rientrano i dati giudiziari, viene evidenziato che, sebbene tali dati siano soggetti ad una valutazione che deve tenere conto della loro specifica natura, è comunque necessario operare il giusto bilanciamento con le ragioni di interesse pubblico.
Tali ragioni possono, nei singoli casi, risultare prevalenti sull’interesse del singolo alla rimozione, anche in virtù dell’attualità della notizia e del ruolo rivestito dall’interessato.
Conclusioni
Il caso appena esaminato conferma quanto sia difficile garantire il diritto della protezione dei dati personali. Si tratta, certamente un diritto fondamentale che, però, come specificato nel Considerando 4 del GDPR, non è una prerogativa assoluta. Deve sempre essere considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con tutti gli altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.
E proprio il principio di proporzionalità, fissato nell’art. 52 della Carta di Nizza, costituisce la “testata d’angolo” dell’intero ecosistema dei diritti fondamentali, laddove prevede che possono essere apportate limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali solo quando queste siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
E, a pensarci bene, il principio di proporzionalità, posto come primario fattore di equilibrio, non è soltanto un pilastro di civiltà giuridica ma anche una efficace leva per affrontare le complesse sfide in continua evoluzione nel mondo digitale.
Tutti gli step per alzare il livello di sicurezza in azienda: una guida completa!
@RIPRODUZIONE RISERVATA