Nel mondo digitale, in rapida evoluzione, sempre più aziende scelgono di lavorare con il modello “as-a-service” (ospitato su cloud).
Software gestionali, infrastrutture cloud, intelligenza artificiale: tutto accessibile con un semplice abbonamento, senza dover mettere sul tavolo ingenti investimenti iniziali. È comodo, veloce e flessibile, permette di scalare le risorse quando serve e di reagire in fretta ai cambiamenti del mercato.
Ma c’è un lato nascosto che spesso si sottovaluta: la dipendenza da fornitori esterni cresce e, di conseguenza, i rischi.
Senza una strategia chiara e solida di Third-Party Risk Management (Tprm), basta un singolo anello debole per mettere in ginocchio processi vitali, esporre dati sensibili e danneggiare irreparabilmente la reputazione aziendale.
Il Tprm è tutto il lavoro che un’azienda fa per conoscere, valutare e tenere sotto controllo i rischi legati ai suoi fornitori e partner esterni.
Ogni servizio, software, componente gestito da terzi rappresenta un potenziale punto di vulnerabilità. Lo abbiamo visto con attacchi famosi come quello alla catena di fornitura di SolarWinds (attacco hacker alla supply chain della piattaforma Orion di SolarWinds che ha consentito a un gruppo hacker, APT29 sostenuto dal governo russo, di spiare per mesi enti governativi USA e company di alto livello in tutto il mondo), dove un aggiornamento compromesso ha aperto la porta a grandi aziende e agenzie governative. O con REvil, un ransomware (il “virus del riscatto”) che ha sfruttato una falla in Kaseya per diffondersi a macchia d’olio tra centinaia di clienti.
E più recentemente, la vulnerabilità di MoveIt Transfer ha esposto dati riservati di università ed enti pubblici.
Tutto questo ci ricorda quanto la nostra sicurezza dipenda anche da chi lavora “dietro le quinte”.
A complicare ulteriormente le cose ci sono gli ecosistemi ibridi, molto comuni oggi.
Molti dati vivono ancora dentro i server interni, ma una grande quantità di applicazioni e servizi sono sparsi tra cloud pubblici e privati. Intanto, le pipeline di sviluppo software aggiornano continuamente librerie open-source e moduli esterni, creando nuove potenziali brecce.
Senza una mappatura precisa di tutti questi fornitori e senza strumenti di monitoraggio efficaci, è davvero difficile avere il polso della situazione e reagire in tempo a eventuali problemi.
Il TPRM è diventato inoltre un obbligo normativo serio. Regole come il GDPR (il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea, in vigore nel 2018), la direttiva NIS2 (la normativa europea sulla cyber security che punta a migliorare la resilienza e la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi della Ue) e il DORA (Digital Operational Resilience Act, il regolamento europeo che mira a rafforzare la resilienza operativa digitale del settore finanziario contro le cyber minacce) chiedono alle aziende non solo di proteggere i dati, ma di fare una vera due diligence sui fornitori.
Parliamo di audit, penetration test, valutazioni regolari e clausole contrattuali rigorose.
Saltare questi passaggi non è un’opzione: le conseguenze possono essere sanzioni pesanti e danni alla reputazione difficili da recuperare.
Se usato con lungimiranza, il Third-Party Risk Management (Tprm) può diventare un vantaggio decisivo.
Tenere un registro aggiornato dei fornitori, arricchito da indicatori di rischio sempre aggiornati, aiuta a vedere per tempo dove possono essere nascosti i problemi e a preparare piani d’emergenza efficaci.
Oggi, grazie all’automazione e all’intelligenza artificiale, esistono algoritmi in grado di individuare le anomalie, valutare quanto possono essere pericolose e suggerire azioni preventive prima che il problema diventi una crisi.
In un mondo che corre veloce, disporre di dashboard intuitive e metriche chiare sui rischi aiuta a mettere tutti sullo stesso piano: IT, procurement e compliance.
È così che si costruisce una cultura aziendale basata sulla consapevolezza, dove il rischio non è un nemico, ma una realtà da gestire insieme.
Coinvolgere fin dall’inizio diversi team, organizzare formazione e simulazioni di incidenti fa capire che prevenire è possibile e che ogni persona in azienda gioca un ruolo fondamentale.
Il futuro del Tprm sarà ancora più sfidante. Con la diffusione di Internet of Things e edge computing, i dispositivi connessi cresceranno a dismisura, così come i fornitori coinvolti, spesso con livelli di sicurezza molto diversi.
Il Tprm dovrà trasformarsi da semplice checklist a una rete digitale integrata, capace di coordinare dati, processi e responsabilità in modo chiaro e condiviso. E, non meno importante, dovrà integrare sempre di più i criteri ESG (ambientali, sociali e di governance), perché oggi investitori e clienti non vogliono solo conti a posto, ma trasparenza e sostenibilità.
Per mettere in piedi un programma Tprm davvero efficace, ecco i punti chiave:
Affidarsi a fornitori esterni non è più un lusso, ma una necessità per innovare e competere. Però significa anche responsabilità.
Il Third-Party Risk Management è il collante che tiene insieme la tua supply chain digitale. Non è solo un modo per proteggersi, ma uno vero e proprio asset strategico che può trasformare una potenziale vulnerabilità in un punto di forza fatto di affidabilità, resilienza e crescita sostenibile.
Le aziende che sapranno integrare il Tprm nel proprio modo di lavorare non solo si tuteleranno dai rischi, ma costruiranno le basi per un futuro più sicuro, innovativo e responsabile.