Dalla minaccia alla metrica: ridefinendo la valutazione del cyber risk
近年来,网络安全从防御性学科转变为测量科学。专家通过量化风险、使用国际标准(如ISO 31000、FAIR)及行业基准分析,将风险转化为可衡量指标。这种方法不仅帮助技术团队识别威胁,还为管理层提供经济影响评估和决策依据,推动企业战略规划与风险管理的融合。 2025-10-24 09:48:39 Author: www.cybersecurity360.it(查看原文) 阅读量:5 收藏

Negli ultimi anni la cyber security ha smesso di essere una disciplina difensiva per trasformarsi in una scienza della misura.

La capacità di quantificare l’esposizione al rischio è ormai ciò che distingue un approccio reattivo da uno strategico.

È quanto emerge dal confronto tra esperti di sicurezza informatica intervenuti al webinar “Puoi controllare solo ciò che puoi misurare. La Cyber Risk Investigation: identifica, misura, controlla”, organizzato da CyLock, dove si è discusso del valore della valutazione del cyber risk come nuovo linguaggio condiviso tra tecnici e management.

Misurare per governare: dalla percezione alla valutazione oggettiva del rischio

La prima evoluzione culturale che attraversa la sicurezza digitale riguarda il passaggio dalla percezione del pericolo alla quantificazione del rischio informatico. Secondo quanto spiegato da Diego Padovan, founder e CEO di CyLock, l’obiettivo non è più limitarsi a sapere che un’azienda è vulnerabile, ma «capire quanto è esposta e quale impatto economico avrebbe un attacco».

In altri termini, il rischio informatico diventa un indicatore misurabile, fondato su parametri riconosciuti e comparabili.

Questa logica deriva da un approccio mutuato dall’Ethical Hacking, che parte dall’analisi degli asset esposti pubblicamente, dal monitoraggio delle informazioni diffuse online e dal recupero dei dati sensibili presenti nel Dark Web.

Le informazioni raccolte vengono poi classificate e pesate per valore e utilità potenziale da parte di un attaccante. Solo attraverso questa fase di “information gathering” è possibile stimare il livello di esposizione di un’organizzazione e, di conseguenza, la priorità delle contromisure.

Padovan ha sottolineato che molte imprese «capiscono cosa vuol dire essere esposte a un attacco, ma non hanno la sensibilità per riconoscere il peso economico di quell’esposizione».

È da qui che nasce l’esigenza di passare a una valutazione quali-quantitativa del rischio, capace di fornire a chi prende decisioni una fotografia sintetica, basata su dati verificabili.

Standard e framework: la bussola della misurazione

La valutazione del cyber risk, per essere efficace, deve poggiare su standard riconosciuti a livello internazionale.

Come illustrato durante il webinar, le metriche di riferimento utilizzate nella misurazione del rischio si fondano su framework consolidati: ISO 31000, per la gestione generale del rischio; NIST, per l’analisi degli asset informatici; MITRE, per la classificazione delle vulnerabilità; e il modello FAIR (Factor Analysis of Information Risk), che quantifica l’impatto economico potenziale di un attacco.

Il FAIR Institute, in particolare, rappresenta oggi uno dei riferimenti più adottati a livello globale perché traduce i concetti di minaccia e vulnerabilità in un linguaggio economico, consentendo di calcolare l’impatto in termini di probabilità e perdita attesa.

Come ha spiegato Padovan, il modello si basa su un calcolo semplice ma efficace: «probabilità per impatto». Ciò consente di ottenere una stima — o meglio un intervallo — che esprime il potenziale danno economico derivante da un evento cyber.

In questa prospettiva, la cybersecurity abbandona la vaghezza dell’“alto, medio, basso” per assumere la forma di una metrica quantitativa, utile non solo ai tecnici ma anche ai decisori aziendali.

L’adozione di un linguaggio comune tra esperti IT e top management è uno dei principali effetti culturali di questa trasformazione.

Dal dato alla comparazione: la forza del benchmark settoriale

Uno degli aspetti più innovativi emersi riguarda l’introduzione del confronto di settore come strumento di valutazione. Attraverso i dati raccolti dal Rapporto Clusit, che analizza ogni anno centinaia di incidenti informatici in Italia, è possibile costruire un benchmark che indichi la probabilità di subire un attacco all’interno di uno specifico comparto economico.

Padovan ha spiegato che «se il 7,5% delle aziende di un determinato settore ha subito un attacco, significa che esiste una probabilità oggettiva di rischio per chi appartiene a quel contesto». Su questa base è possibile confrontare i dati di una singola impresa con quelli medi di mercato, ottenendo un indice di esposizione relativa.

L’analisi non si limita al numero di attacchi ma considera anche i vettori d’attacco più ricorrenti — ad esempio intrusioni sui sistemi IT, campagne di phishing o diffusione di malware — e il loro peso specifico.

Nel caso presentato durante il webinar, un’azienda campione mostrava una probabilità di data breach del 15%, contro il 7,5% medio del settore: il doppio del rischio. Questo tipo di misurazione permette di capire non solo se si è vulnerabili, ma quanto più o meno rispetto ai concorrenti.

Il confronto di settore trasforma così la valutazione del rischio in un esercizio comparativo, in grado di indirizzare investimenti e priorità operative.

È un approccio che consente di mettere in relazione la sicurezza informatica con la competitività, introducendo un nuovo parametro di benchmarking aziendale.

L’impatto economico della minaccia: tra costi diretti e danni reputazionali

La valutazione del cyber risk trova la sua espressione più concreta nella stima dell’impatto economico potenziale di un attacco. Durante il webinar, Marco Raimondi, Head of Cyber Security, ha illustrato come il modello FAIR distingua due componenti: costi diretti e costi indiretti.

I primi comprendono le spese immediate per il recupero dei dati, la gestione legale, le sanzioni e la risposta all’incidente. I secondi — spesso più significativi — riguardano invece la perdita di reputazione, clienti e fiducia. Raimondi ha precisato che «il danno economico a lungo termine può superare quello immediato, perché colpisce la percezione di affidabilità dell’azienda».

Per rendere più tangibile il concetto, la piattaforma di analisi citata durante l’evento applica il modello FAIR alle informazioni finanziarie dell’impresa, incrociandole con i dati di rischio raccolti. Questo consente di stimare la perdita potenziale in caso di violazione, offrendo al management una base di confronto utile per valutare il ritorno sugli investimenti in sicurezza.

La logica è quella del cyber risk come variabile economica: conoscere il potenziale impatto significa poter prendere decisioni consapevoli, basate su dati e non su percezioni.

Dalla diagnosi alla risposta: la cultura della remediation

La misurazione, da sola, non basta se non è seguita da un percorso di remediation.

La parte conclusiva del webinar ha affrontato il tema delle azioni correttive e preventive che derivano dall’analisi del rischio. Raimondi ha descritto tre orizzonti temporali: breve, medio e lungo termine, che corrispondono ad altrettanti livelli di priorità.

Nel breve periodo si interviene sulle vulnerabilità critiche con patch e verifiche mirate; nel medio si costruiscono piani di business continuity e disaster recovery; nel lungo si lavora sull’evoluzione delle difese strutturali e sulla formazione del personale.
Questa segmentazione temporale rende la valutazione del cyber risk un processo ciclico e continuo, dove la prevenzione diventa parte integrante della gestione aziendale.

L’approccio proposto durante il webinar è stato descritto come una forma di “risk governance applicata”, in cui la misurazione del rischio rappresenta non solo una fotografia del presente ma anche una guida per la pianificazione futura.

Una nuova grammatica della sicurezza

La vera trasformazione non è solo tecnologica ma culturale. La valutazione del cyber risk sta creando un linguaggio condiviso tra chi governa i sistemi e chi guida l’azienda. Parlare di percentuali, benchmark e impatti economici significa spostare la conversazione dalla paura alla pianificazione.

La cyber security, così, smette di essere un comparto tecnico e diventa una funzione strategica, fondata sulla misurazione, la comparazione e la trasparenza dei dati.

Misurare il rischio, in questo senso, non serve solo a proteggersi, ma a capire quanto la sicurezza contribuisce alla solidità complessiva dell’impresa.


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