Le immagini hanno un ruolo centrale nella comunicazione istituzionale e commerciale nel marketing e nella narrazione: tuttavia, quando si tratta di minori, la gestione di tali immagini assume una dimensione delicatissima, che coinvolge diritti fondamentali, protezione della personalità e tutela della dignità.
Il consenso, previsto dal GDPR come una delle basi giuridiche per il trattamento dei dati personali, è spesso invocato per giustificare la diffusione di immagini.
Ma cosa succede quando diventa condizione per accedere a un servizio che nulla ha a che fare con la promozione e il marketing?
Un recente provvedimento del Garante Privacy ha sanzionato un asilo nido per aver imposto ai genitori di firmare il consenso all’uso delle immagini dei bambini per scopi promozionali come condizione per l’iscrizione.
Il Garante ha ritenuto tale pratica illegittima, ordinando la cancellazione delle immagini raccolte, nonché il blocco delle telecamere installate nella struttura senza le necessarie autorizzazioni.
Questa vicenda evidenzia una distorsione ormai frequente in cui il consenso, che dovrebbe essere atto volontario, consapevole e tutelante, si trasforma in uno strumento di pressione. Una dinamica che mina la fiducia tra istituzioni educative e famiglie, rischiando di normalizzare pratiche contrarie al GDPR e al principio di autodeterminazione informativa.
Il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) stabilisce che il consenso deve essere:
In Italia, l’articolo 96 della Legge sul diritto d’autore e le norme del Codice Civile ribadiscono che la pubblicazione di immagini di una persona richiede il suo consenso, salvo eccezioni specifiche. Quando si parla di minori, la questione diventa più rigorosa: è necessario il consenso di entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, soprattutto per finalità promozionali e pubblicitarie.
Il Garante Privacy ha più volte ribadito che il consenso deve essere libero: se il rifiuto impedisce l’accesso a un servizio (in questo caso addirittura ad un servizio educativo), siamo di fronte a una violazione del principio di libertà previsto dall’art. 7 del GDPR.
L’uso scorretto del consenso evidenzia una deriva pericolosa: quando un diritto diventa una formalità svuotata di significato, si crea un’asimmetria di potere tra genitori e istituzioni. In un’epoca in cui la reputazione digitale dei bambini può essere compromessa fin dai primi anni di vita, la responsabilità etica degli istituti educativi assume un ruolo centrale.
Il consenso deve tornare ad essere un atto di autodeterminazione e non una firma obbligata. È una sfida culturale, oltre che normativa, che coinvolge genitori, scuole e professionisti della privacy.
Nel caso in esame l’asilo risulta aver diffuso numerose immagini dei bambini pubblicandole sia sul proprio sito web che sul proprio profilo “Google Maps”, ritratti “in diversi momenti della ‘giornata tipo’, anche in contesti particolarmente delicati (sonno, mensa, utilizzo dei servizi igienici, cambio pannolino, massaggi infantili). In situazioni e attività, dunque, caratterizzate da una particolare delicatezza o destinate a rimanere riservate”.
Ciò nel totale disinteresse e nella sostanziale mancanza di consapevolezza rispetto ai rischi connessi alla “maggiore esposizione delle immagini sul web e alla loro eventuale riutilizzabilità da parte di malintenzionati per fini illeciti o reati a danno dei minori”.
La condivisione continua di immagini di bambini (sharenting), può comportare conseguenze significative e durevoli, che meritano una riflessione distaccata e analitica.
Questa esposizione fin dalla nascita, dai primi mesi fino all’adolescenza, genera un’autentica impronta digitale permanente ed è necessaria prendere atto di quanto questa visibilità possa diventare una traccia difficile da eliminare.
La presenza di immagini facilmente rintracciabili online può esporre i minori a rischi concreti, come:
L’immagine dei minori è considerata un dato personale particolarmente delicato: divulgarla richiede un’attenzione rigorosa sul consenso (di entrambi i genitori in caso di minori sotto i 14 anni), trattandosi di un «atto di straordinaria amministrazione».
Pubblicazioni “di servizio” (es. vetrine social) e pubblicazioni “private” dei genitori possono convergere nel creare una banca iconografica del minore. Sul piano giuridico, ciò comporta:
In sintesi, l’uso e la diffusione delle immagini dei minori sul web è una questione complessa che intreccia privacy, diritti alla reputazione, autonomia futura, e responsabilità legale. Non è un problema tecnico da archiviare ma una scelta educativa e normativa, che richiede cautela, trasparenza e protezione attiva.
Ma le consapevolezze sono disomogenee: il rischio è percepito ma ancora sottostimato, specie quanto al riuso non autorizzato delle immagini, al furto d’identità e all’impatto reputazionale.
L’Autorità francese per la protezione dei dati (CNIL), nella sua nota informativa di sensibilizzazione del 10 settembre 2025 proprio sul tema delle immagini dei minori negli istituti scolastici, invita famiglie e scuole ad una maggiore consapevolezza sul concetto di “privacy digitale dei bambini”, suggerendo linee guida chiare su chi può scattare foto, come archiviarle e come gestirne la diffusione.
Sottolinea inoltre che la diffusione di immagini scolastiche deve essere limitata e controllata; le scuole devono ottenere consensi separati, con finalità chiaramente indicate; i genitori hanno diritto di revocare facilmente il consenso.
Infine, raccomanda che vengano preferite piattaforme chiuse e sistemi interni per condividere i contenuti con le famiglie.
Le istituzioni educative hanno una responsabilità primaria nella protezione dell’immagine e dei dati personali dei minori: il rispetto del quadro normativo deve tradursi in procedure chiare, moduli trasparenti e scelte organizzative progettate per la sicurezza e la dignità dei bambini.
Alcuni consigli pratici:
Accanto agli obblighi delle scuole, anche i genitori svolgono un ruolo cruciale: la consapevolezza e la capacità di esercitare i propri diritti diventano strumenti indispensabili per tutelare i propri figli in un ecosistema digitale complesso e spesso insidioso.
Di seguito alcuni consigli per le famiglie:
Questo caso è senz’altro un campanello d’allarme che impone una riflessione profonda sulla gestione dei dati personali dei minori. L’esigenza di coniugare tecnologia, educazione e tutela dei diritti fondamentali è ormai imprescindibile per creare un ecosistema di fiducia, in cui scuole, famiglie e istituzioni collaborino per prevenire rischi di sovraesposizione e violazioni della dignità dei bambini.
Le scuole e gli asili hanno l’opportunità di diventare laboratori di buone pratiche, capaci di tradurre la normativa in procedure semplici, trasparenti ed efficaci. Allo stesso tempo, i genitori devono assumere un ruolo attivo, imparando a valutare l’impatto a lungo termine di ogni immagine condivisa e a insegnare ai figli il valore della riservatezza.
Le raccomandazioni della CNIL e i provvedimenti del Garante italiano come quello in oggetto convergono su un punto essenziale: la protezione dei minori deve essere progettata e interiorizzata, senza che sia subita come un obbligo burocratico. La consapevolezza collettiva diventa infatti il primo strumento di difesa dei diritti.
La vicenda che ha dato origine al provvedimento del Garante è significativa perché nasce dall’attenzione e dal senso di responsabilità di un padre che ha scelto di tutelare la privacy della propria figlia, portando alla luce una pratica diffusa e troppo spesso sottovalutata. Questo gesto dimostra come la protezione dei minori è anche una questione di scelte coraggiose dei singoli.
In un’epoca in cui le immagini dei bambini diventano contenuti virali in pochi istanti, questo padre ci ricorda che la difesa dei diritti passa spesso da piccoli atti di consapevolezza quotidiana.
È da qui che può nascere una vera cultura della privacy, cioè dalla determinazione di famiglie, educatori e professionisti a mettere i diritti dei bambini al centro di ogni decisione.