Il futuro dei social è decentralizzare
2023-11-7 19:16:33 Author: www.guerredirete.it(查看原文) 阅读量:12 收藏

Mastodon, Bluesky, Threads, Discord, Hive, Reddit, Tumblr. In questi mesi il panorama dei competitor di X – ex-Twitter – è cresciuto a dismisura, grazie soprattutto alle scelte compiute da Elon Musk dopo la sua acquisizione. Non è un caso, infatti, che Bluesky – il social fondato da Jack Dorsey, già cofondatore di Twitter, considerato oggi uno dei rivali più “agguerriti” di X – abbia assistito a settembre a un’ondata di nuovi utenti, proprio il giorno seguente a quello in cui Musk ha rivelato di voler rendere X un’app a pagamento per tutti, e non solo per il servizio premium. Secondo quanto riportato dal sito di monitoraggio Bluesky Stats, la piattaforma ha registrato un aumento consistente rispetto ai trend usuali pari a 53.585 utenti tra il 18 e il 19 settembre 2023, ossia nei giorni seguenti all’annuncio inaspettato del nuovo proprietario di Twitter. 

Non si è trattata della prima volta in cui un concorrente del social ha tratto vantaggio dalle azioni dell’imprenditore di Tesla e SpaceX. All’inizio dell’estate, Bluesky ha dichiarato di aver registrato un “traffico record” lo stesso giorno in cui Elon Musk ha annunciato il limite temporaneo al numero di tweet visualizzabili dagli utenti, tanto da aver dovuto sospendere le nuove iscrizioni. E ancora prima è stato Eugen Rochko, fondatore di Mastodon, a dichiarare apertamente che la sua piattaforma era cresciuta in concomitanza alla fuga da Twitter, passando dai 300.000 ai 2,5 milioni di utenti attivi mensili tra ottobre e novembre 2022 – ossia nei mesi in cui l’imprenditore ha concluso l’acquisizione della piattaforma.

Insomma, in questo ultimo anno Elon Musk sembra non aver fatto altro che alimentare il malcontento del pubblico di X, convincendolo a spostarsi su altre piattaforme, alla ricerca di un’alternativa al Twitter di un tempo. Secondo le società di analisi dei dati come SimilarWeb e Sensor Tower, infatti, gli utenti attivi giornalieri sulla piattaforma sono diminuiti del 15-16% tra settembre 2022 e settembre 2023, segnando così uno degli esodi più tristi della storia di Twitter. Ma come funzionano davvero i “rivali” Bluesky e Mastodon? Quali sono le caratteristiche che li accomunano? E qual è il futuro che li attende?

Bluesky, la seconda volta di Dorsey

Fondata da Jack Dorsey nel corso del suo mandato come CEO di Twitter, Bluesky è un’app che apparentemente assomiglia a X, ma che finisce con il rivelarsi molto diversa. L’intera piattaforma, infatti, si basa su una rete decentralizzata che vuole offrire agli utenti un maggiore controllo sull’amministrazione del servizio, sull’archiviazione dei dati e sulla moderazione dei contenuti, permettendo loro di crearsi le proprie app e community. Questo perché, a differenza di Twitter e di buona parte delle app di social media, la rete si basa su un protocollo – AT Protocol – che non può essere controllato da un governo o da un’azienda, ma che viene gestito direttamente dagli utenti.

L’idea alla base di ATP, infatti, è che ogni utente abbia un account collegato a un server di dati personali (PDS), che comunica in totale libertà con altri server, così da fornire un’esperienza di rete unificata e dare vita a quello che viene definito da Bluesky un “social federato”. Un sistema così strutturato permette agli utenti di gestire in totale libertà la propria esperienza sulla piattaforma, perché il protocollo consente di spostare da un server all’altro il proprio account, senza perdere le proprie informazioni personali, i post pubblicati o i follower. Questo significa che se un utente viene bloccato da un PDS, può comodamente trasferirsi a un altro senza dover ricostruire da capo la sua identità digitale. È così che Bluesky fa un passo avanti rispetto alla proposta di Twitter, rendendo l’esperienza degli utenti più libera e attirando l’attenzione del pubblico – soprattutto di giornalisti e addetti all’informazione – dopo che alcune delle novità introdotte da Elon Musk su Twitter hanno dimostrato che la piattaforma era – e continua a essere – sotto il controllo incontrollato dell’imprenditore.

La nostra missione è sviluppare e promuovere l’adozione su larga scala di tecnologie per conversazioni pubbliche aperte e decentralizzate”, scriveva la CEO di Bluesky Jay Graber nel post di lancio ufficiale a febbraio, quando per la prima volta l’app è diventata disponibile su invito per tutti gli utenti iOS riscuotendo un successo tale da convincere la società ad aprirla agli utenti Android di lì a poco, e attirando l’attenzione di personaggi noti come la deputata democratica statunitense Alexandria Ocasio-Cortez e la modella Chrissy Teigen. Nel giro di pochi mesi, infatti, Bluesky è riuscito a superare il milione di utenti, proponendo un’esperienza simile a quella di Twitter, seppur più libera. Chi ha ricevuto un codice invito per poter creare un account sulla piattaforma riferisce di aver provato un incredibile senso di familiarità non appena aperta l’app, dato che la sua interfaccia assomiglia notevolmente a quella di Twitter, pur mancando di qualche funzionalità utile come le bozze, i messaggi diretti e gli hashtag. 

Al pari del suo rivale, anche Bluesky fonda tutta la sua esistenza sull’attività di microblogging, consentendo agli utenti di condividere con i propri follower post di 256 caratteri, che possono includere anche foto, ricondividere i post altrui, rispondere e mettere like – gli utenti più fidelizzati della piattaforma li chiamano skeets, da una combinazione tra sky e tweets, nonostante la Graber abbia chiesto di chiamarli con un altro nome dato che il termine “skeet” ha anche un significato alquanto equivoco. Inoltre, esattamente come qualunque altra piattaforma, Bluesky offre la possibilità di cercare e seguire altre persone, offrendo anche suggerimenti per ampliare la propria cerchia di amici, così da visualizzarne gli aggiornamenti nel Feed Home. Insomma, nel complesso la nuova app di Jack Dorsey si rivela simile alla vecchia quanto a interfaccia utente, ma decisamente diversa per quanto riguarda la struttura decentralizzata che l’ha resa celebre. 

Mastodon, il degno rivale di Twitter

Nel libro “Internet for the People” il giornalista statunitense Ben Tarnoff sostiene fermamente che i social media non cercano affatto di favorire la connessione umana, ma che piuttosto alimentano il senso di solitudine, spingendo gli utenti “a comportarsi in modi che siano il più leggibili possibile per i sistemi automatizzati che li tracciano e li analizzano”, al solo scopo di vendere più annunci agli inserzionisti e massimizzare così le proprie entrate. Un atteggiamento facilmente riconducibile agli interessi delle società che gestiscono le piattaforme, che mettono il proprio guadagno al primo posto, disinteressandosi del tutto del benessere dei propri utenti, che finiscono con il sentirsi infelici, frustrati e depressi. Proprio per questo, Internet pullula di tentativi di creare piattaforme alternative in cui gli utenti abbiano più potere.

Tra queste, Mastodon ha generato molto interesse. Creata nel 2016 da Eugen Rochko, un estimatore di Twitter, l’app si presenta come un vero e proprio universo federato – altrimenti definito “fediverso” – in cui coesistono migliaia di server o istanze diverse che comunicano agilmente tra loro, pur appartenendo a provider differenti e avendo ognuno regole proprie. Proprio per questo, gli utenti non si iscrivono a Mastodon, ma creano un account su una delle tante istanze disponibili, che altro non sono che piccole comunità – contraddistinte da indirizzi univoci – che vivono di vita propria all’interno della piattaforma di base. Un dettaglio che si rivela tutt’altro che limitante per un utente, che può essere iscritto a un’istanza, ma può anche godere della libertà di interagire con persone che sono iscritte a un’altra delle migliaia di istanze che compongono il fediverso (avevamo scritto in newsletter di come funzionava Mastodon e della migrazione da Twitter).

Tutto questo è reso possibile grazie ad ActivityPub, un protocollo in circolazione da ormai molti anni, ma divenuto noto al grande pubblico soltanto di recente grazie a Mastodon – tanto da aver attirato l’attenzione di aziende come Tumblr, Flipboard, Mozilla a e la stessa Meta. Si tratta di una tecnologia che permette di rendere i social network interoperabili, collegandoli tutti al medesimo sistema di condivisione dei contenuti. D’altronde, l’obiettivo di Mastodon è quello di creare una piattaforma decentralizzata, all’interno della quale ogni istanza è gestita da una persona o da un gruppo che può prendere le proprie decisioni sia su come eseguire tecnicamente il servizio sia sulle politiche che si applicheranno all’istanza. Questo significa che il controllo dei contenuti e delle funzionalità è diviso tra gli utenti invece che concentrato nelle mani di un’azienda privata, rendendo così la piattaforma libera da vincoli di ogni genere. 

Al di là di questo, però, Mastodon rimane una piattaforma che ha attratto una parte degli utenti scontenti di Twitter. Proprio come il suo competitor, infatti, l’app permette agli utenti di pubblicare “toots”, ossia messaggi, che possono includere collegamenti esterni, immagini, file audio e video. Tutti i contenuti pubblicati possono essere impostati come pubblici, riservati ai soli follower o addirittura non visualizzabili in alcun Feed. E per tutti i post più sensibili, gli utenti hanno la possibilità di utilizzare l’opzione “Avviso del contenuto”, che richiede un click prima della visualizzazione del contenuto, così da mettere in allerta le persone su quello che stanno per vedere. 

Al pari di altre piattaforme, poi, anche Mastodon consente l’utilizzo degli hashtag, che svolgono qui una funzione importante per attirare l’attenzione delle persone verso i propri post, dato che la piattaforma non gode di un algoritmo di suggerimento dei contenuti. È utilizzando gli hashtag giusti, quindi, che gli utenti hanno la possibilità di attirare il pubblico interessato a determinati argomenti e tematiche, accrescendo così i propri follower. Scegliere di seguire un account, infatti, significa visualizzare costantemente i suoi contenuti nel Feed Home, esattamente come già accade su Twitter e su Bluesky. A differenza di queste due, però, Mastodon gestisce l’apprezzamento dei toots in modo alquanto particolare: pur permettendo agli utenti di mettere like ai contenuti altrui, questi non vengono mai visualizzati nel Feed. Per promuovere il post di un account che seguite, quindi, avrete bisogno di ricondividerlo – o, per dirlo nel linguaggio della piattaforma, di “boosterizzarlo” -. 

Infine, a differenza di Twitter, Mastodon vanta tre diversi Feed di visualizzazione: la tradizionale Home, che mostra tutti i toots degli utenti seguiti; un Feed Local, dove è possibile vedere tutto quello che viene condiviso sull’istanza di appartenenza; e un Feed legato al fediverso, in cui vengono raccolti tutti i contenuti condivisi dagli utenti seguiti sull’intera piattaforma. Una triplice proposta che spiega bene come è strutturato l’universo di Mastodon, e perché sta riscuotendo un discreto successo malgrado un primo impatto più difficile per i nuovi utenti 

L’imperativo è decentralizzare

Era il 2019 quando Jack Dorsey, allora CEO di Twitter, annunciava pubblicamente il suo desiderio di “sviluppare uno standard aperto e decentralizzato per i social media“, immaginando di togliere la proprietà delle piattaforme alle società private legate agli investitori per rimetterla nelle mani degli utenti che quelle piattaforme le popolano ogni giorno. Un obiettivo ambizioso, che lo ha portato oggi a lavorare incessantemente con il team di Bluesky allo sviluppo dell’AT Protocol. “Se le piattaforme centralizzate sono governate come monarchie, le reti federate sono governate come piccole società feudali – ha spiegato in un intervento Jay Graber-. Non c’è un solo re che governa su tutta la rete, ma ci sono signori più piccoli che hanno ancora un potere assoluto sul loro dominio”. 

Nonostante le parole di Graber siano alquanto insolite per un contesto come quello dei social media, spiegano bene come una rete decentralizzata permetta ai responsabili di ogni spazio – i citati “signori” – di costruire la propria community, piuttosto che lasciarla controllare da un algoritmo gestito dagli interessi di una grande azienda privata e dei suoi investitori. Il tutto all’interno di un sistema ordinato e connesso, perché fondato sulla portabilità, che i fondatori di Bluesky amano definire comela capacità di spostarsi tra servizi senza perdere tutto”.

Ma cosa significa davvero? Come spiegato da Rose Wang, uno dei membri del team di sviluppo della piattaforma, “se ti sposti da un sito all’altro, devi ricominciare da capo senza la cronologia degli amici o dei contenuti che hai creato lì. Se vieni espulso da una piattaforma centralizzata, è come essere espulso da una città e non poter tornare indietro per vedere i tuoi amici, o anche solo prendere le tue cose. Un’analogia con ciò che Bluesky sta costruendo è un sistema di identità e di trasporto tra le città, in modo che tu possa spostarti da un posto all’altro e mantenere i tuoi amici”.

Nel mondo immaginato da Bluesky, infatti, se un utente non apprezza i consigli automatizzati di YouTube può scegliere di passare a un’altra applicazione che gli permette di accedere agli stessi video, ma con un sistema di suggerimenti ben diverso o, addirittura, senza che ne esista uno. E può farlo portando con sé tutti i dati del proprio account, senza la necessità di doverne obbligatoriamente costruire uno nuovo da zero.

Eppure, nonostante tutti questi buoni presupposti, al momento Bluesky lavora appoggiato su un server centrale, senza che sia ancora chiaro quando – e come – ci sarà il passaggio a un modello federato, nota il New Yorker. “E il Feed non risulta ancora essere gestito da algoritmi personalizzati generati dagli utenti, ma appare piuttosto come una semplice lista dei post più popolari”. Un sistema ancora lontano da quello che il team di sviluppatori ha immaginato. 

Mastodon, invece, si è sviluppato come una delle più importanti realtà del fediverso, una rete di servizi indipendenti e decentralizzati basati su protocolli aperti come ActivityPub. “Il potenziale del fediverso come alternativa no-profit e orientata al bene comune rispetto alle piattaforme a scopo commerciale lo rende particolarmente rilevante”, scrive l’organizzazione tedesca Upgrade Democracy.  “Le critiche alle grandi piattaforme sociali si concentrano su tre aspetti generali: (1) la raccolta e la vendita dei dati e dei comportamenti degli utenti a fini pubblicitari (spesso definita “capitalismo della sorveglianza”); (2) la moderazione dei contenuti e le regole comportamentali allineate ai sistemi di valori delle aziende situate nella Silicon Valley o in Cina (spesso definita “colonialismo digitale”); (3) le piattaforme chiuse che mirano a far sì che gli utenti utilizzino i loro servizi il più a lungo possibile, a volte a spese del benessere individuale (spesso definita “economia dell’attenzione”)”. E ancora: “Il valore aggiunto del fediverso risiede nella sua struttura non commerciale, in cui singoli individui e piccole organizzazioni creano e gestiscono applicazioni e istanze”.

Difficoltà e obiettivi

In ogni caso, per quanto la rete decentralizzata possa risultare allettante in termini di libertà e protagonismo dal basso, è chiaro che abbia i suoi lati problematici. Il principale è il finanziamento, specie a fronte di realtà in crescita, che incontrano quindi maggiori costi. Esiste anche un dibattito su come gestire al meglio la moderazione, che può essere arbitraria e inconsistente quando gestita da volontari (a onor del vero, non è che le grandi e ricche piattaforme abbiano dato prova in questi anni di cavarsela bene su questo fronte). D’altronde, le regole di un’istanza sono soggettive, a totale discrezione degli individui che ne sono responsabili, e questo può finire con il generare conflitti all’interno della comunità, fino ad arrivare a un vero e proprio esodo da parte degli utenti che si sentono oppressi dalle stesse regole che hanno accettato e che credono di non poter far valere le proprie opinioni in alcun modo.

Anche se l’utente può a quel punto scegliere un’altra istanza.

Ma questa situazione rappresenta soltanto una minima parte di quello che accade davvero sulle piattaforme decentralizzate, che contrastano la diffusione di contenuti tossici opponendogli l’empowerment di comunità forti e coese. È abbastanza evidente, quindi, che decentralizzare sia oramai un imperativo per le piattaforme di social media, ammesso che queste ci tengano ad avere con sé i propri utenti. “Lo paragono alla crescita del cibo biologico e coltivato in modo sostenibile ha dichiarato Bill Ottman, fondatore e amministratore delegato di Minds, piattaforma di social media parzialmente decentralizzata, commentando la diffusione di app federate -. Trent’anni fa, la gente diceva: ‘Non so di cosa stai parlando e non so perché dovrebbe preoccuparmi’. E ora, alla gente importa”.


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